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Tre storie
Pregenitalità e cultura

Di Ferruccio Marcoli e Saul Branca

Sestante Edizioni, Bergamo, 2014

Di cosa parliamo quando parliamo di Psicologia generativa?

A rispondere a questa domanda è innanzitutto volto il libro, molto piacevole e interessante, Tre storie. Pregenitalità e cultura, di Ferruccio Marcoli e Saul Branca, l’uno fondatore dell’Istituto Ricerche di Gruppo di Lugano, di cui presiede attualmente il Consiglio di Fondazione e al quale si deve la creazione del metodo noto come Fare storie, l’altro attuale Direttore dello stesso Istituto, dove insegna alla Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica.

Prima però di addentrarci nella questione alla quale questo bel libro è volto a rispondere, partiamo da una premessa e da una considerazione.

La premessa concerne il titolo, che evoca intenzionalmente, a dire dei due Autori, quello di un altro saggio, opera dello Psicoanalista Franco Fornari: Genitalità e cultura. Infatti, Tre storie. Pregenitalità e cultura, fa da simbolica cerniera tra le riflessioni di Fornari e quelle di un altro grande psicoanalista, ben noto e molto caro a Marcoli e Branca: Wilfred Bion.

Come gli stessi Autori sottolineano nei loro contributi, la vera e propria spina dorsale dell’impianto psicogenerativo è costituito dalla dinamica conflittuale tra le aree confusive della pregenitalità, esplorate da Fornari, e quelle delle teorie del pensare nella loro declinazione anche culturale, cui è particolarmente rivolta l’attenzione di Bion.

La considerazione concerne lo stile del testo che siamo qui a presentare. Uno stile abitualmente poco praticato, che si mostra terreno fertile per l’esercizio di un pensiero che si nutre, da un lato, generativamente, del dialogo che si dipana tra i due contributi che costituiscono i due capitoli del libro. Dall’altro, il rimando incessante, in un capitolo come nell’altro, dalla clinica alla metapsicologia e viceversa, alla ricerca costante sia dei tratti distintivi della psicologia generativa (in particolare nel contributo di Branca) sia delle direttrici cliniche e teoriche che potranno fungere da elementi basali per la costruzione di rinnovati modelli psicogenerativi, in particolare nello scritto di Marcoli.

Il primo capitolo, Tre storie, di Ferruccio Marcoli, ripercorre in modo assieme appassionato e riflessivo - con un approccio, si potrebbe dire (parafrasando non a caso Bion!) binoculare -, alcuni casi clinici, riletti après coup con l’esperienza maturata nel corso degli anni.

Mauro, al quale si deve, da un certo punto di vista, la nascita del metodo Fare storie; poi, i bambini della Scuola Materna di Lamone, con i quali il metodo ‘prende il largo’ sperimentandosi nel gruppo; e, infine, Roberto, un adolescente con il quale si apprende che il disincanto può essere in adolescenza ciò che consente di comprendere il senso e la ragione delle regole.

Nel secondo capitolo, Pregenitalità e cultura, di Saul Branca, risaltano come perno del pensiero dell’Autore (in tale ottica ‘gemello immaginario’ di Marcoli) sia la refrattarietà alle decodifiche denotative e autoreferenziali, sia l’accento posto sulla dimensione narcisistico-onnipotente come specifica oggi tanto del singolo quanto della dinamica sociale.

Viene giustamente rilevato che la riduzione alla sola contrapposizione rifiuto o elaborazione della realtà, punto di scelta della via psicotica o di quella non psicotica per Bion, dimentica la terza via postulata dallo stesso Autore: lo sviluppo di onnipotenza e onniscienza, con le quali si contrasta la realtà senza rifiutarla in toto.

Ne deriva una fertile successione di considerazioni, attuate secondo lo stile della Psicologia generativa, privo di un linguaggio ‘forte’ e espresso, piuttosto, in ‘pensieri verbali’, strumento debole, simil-onirico, come direbbero Bion e Marcoli, evocatore del ‘senso’ più che teso ad assegnare ‘significati’.

Con le parole di André Green, lo psicoanalista francese da poco scomparso caro a Branca, si potrebbe parlare di un discorso vivente, in equilibrio tra dire e tacere, articolato tra funzioni accoglienti di stampo materno e funzioni, di stampo paterno, istituenti la cornice, lo spazio ove materiali prelinguistici, ancora impensabili, possano trovare accoglienza e possibilità di rappresentazione.

Ed ecco l’incontro con la cultura: «Il racconto di un sogno (pensiero mitico) a differenza del ‘sogno solo sognato’ (pensiero onirico) è, nello stesso tempo, un impegno di correlazione e uno sforzo per tradurre le rappresentazioni oniriche in rappresentazioni verbali. In un certo senso il ‘pensiero mitico’ è un sogno che ‘prende la parola’ in un sistema sociale di comunicazione», come ha scritto Marcoli nel 1997 in un altro suo libro, Il Pensiero Affettivo.

Marco Francesconi, psicoanalista